Nella prima parte del post eravamo rimaste con questa importante domanda:
Perché è così difficile uscire da questa spirale?
I motivi sono vari, a volte complessi e strettamente interconnessi tra di loro. Nelle righe che seguono, parlo di alcuni di loro, quelli che secondo me è nelle mani di ogni donna poter lavorarci su e intraprendere un percorso di trasformazione per avere una vita più equilibrata, più gioiosa e con maggior benessere. Sono consapevole che alcune situazioni sono difficili e non è nelle mani di una sola persona cambiarle, ma anche lì ci sono spiragli di luce che funzionano come punti di orientamento e di guida. Sta a te imparare a vederli.
Il senso di colpa
L’internalizzazione del ruolo della donna come la “madre che si prende cura” è uno degli ostacoli che limita molte donne nella loro ricerca di se stesse. Poiché, in generale, la donna è socializzata a vedere se stessa in questo modo e ad agire di conseguenza, quest’immagine interiorizzata ha il potere di creare un profondo senso di colpa ogni volta che si decide di mollare i propri “doveri” e fare qualcosa per se stessa. Si chiede:
Che tipo di donna sono? E che tipo di madre? Che tipo di compagna? Sto agendo egoisticamente?
Imparare a riconoscere il senso di colpa e la sua origine è uno dei primi passi verso la cura di sé. Potersi dire il quanto è ingiusto, irrealistico e pesante, e quindi uscirne fuori, è molto importante.
Ricorda che l’essere donna significa tante cose e che, prima di tutto, siamo esseri umani con bisogni e desideri come tutti gli altri.
La vergogna
La vergogna è un’emozione che causa grande disagio interiore, bloccando la capacità di dedicarsi a se stessa e ricaricare l’energia vitale. Strettamente legata al senso di colpa, la vergogna nasce nel momento in cui una donna sente di non corrispondere alle aspettative che la società ha su di lei, e che lei stessa ha interiorizzato.
La vergogna è come riflettore che incide direttamente sulle imperfezioni e incapacità individuali. È uno sguardo che giudica e “mette a posto”, dicendo: “sei una cattiva madre/donna/figlia o quel che sia, vergognati, e fa ciò che sai che deve essere fatto”. Questo messaggio interiore è un modo di mantenere lo status quo, portando la donna a fare quello che pensa che deve fare e che la società si aspetta di lei.
Ancora una volta, prendere consapevolezza di questo sentimento e del meccanismo sottostante, è il primo passo. Dopo di ché, è necessario attivare nuovi modi di guardare le cose, imparando a usare uno sguardo ad ampio raggio per comprendere la situazione. Solo così si possono aprire nuovi canali di sostegno e di ricerca di soluzioni.
Il perfezionismo
Il perfezionismo è la credenza che qualunque risultato diverso del migliore è un fallimento di cui vergognarsi, ed è un altro scatenante della vergogna di non essere abbastanza, di non essere perfetta, di non riuscire a fare tutto bene.
Inoltre il perfezionismo genera anche aspettative irrealistiche verso se stessa e verso gli altri, un senso di inadeguatezza, l’incapacità di delegare o di fare le cose “ok” (piuttosto che perfette). È un rallentatore dell’azione che blocca il comportamento perché “non si è mai pronta” o che invece può portare all’ossessione e a un non finire di compiti e di cose da fare.
Nella sua TED Talk sulla vergogna, Brené Brown parla di questo tema con grande sensibilità e umorismo. Ti invito a guardarla: Listening to shame (con sottotitoli in Italiano).
Il controllo
Un altro ostacolo a prendere cura di sé consapevolmente e in forma sana è il bisogno di controllo. Controllare che tutto sia fatto e che sia fatto nel modo giusto, secondo criteri personali di elevata perfezione, diventa per molte donne una prigione.
Ho incontrato donne che tornate dal lavoro si mettono davanti una lista infinita di cose da fare a casa, alcune delle quali potrebbero tranquillamente essere messe in secondo piano o delegate, usando quello tempo per se stesse e per il proprio piacere.
Il modello ideale di come le cose devono essere fatte è certo utile come guida, ma difficile da raggiungere. Quando questo ideale diventa lo standard che guida il comportamento e le scelte giornaliere, la vita si complica: tutto richiede molto tempo per essere fatto, delegare diventa impossibile, non si riesce a stabile priorità, si cerca di accomodare tutto fino all’esaurimento.
Sia il perfezionismo sia il controllo sono strettamente collegati all’incapacità di delegare e di chiedere aiuto. Poiché i criteri di conseguimento e soddisfazione sono così alti, le aspettative riversate sugli altri sono anche molto elevate, e tutto viene valutato alla luce di criteri irraggiungibili. Non si è mai soddisfatta di come le cose sono fatte e spesso si preferisce farle personalmente, per assicurarsi che siano fatte “bene”.
Quante volte ti sei trovata a fare cose soltanto perché non hai accettato che qualcuno le facessi a modo suo, che magari a te piace di meno, ma che ti risparmierebbe tempo ed energia?
Che cosa succederebbe se certe cose non si facessero, se facessero in un altro momento, o in modo diverso? Certo non cascherebbe il mondo 🙂
È importante darsi l’opportunità di trovare nuovi modelli non ideali cui attingere. Il modello “good enough” (abbastanza buono) è in molti casi un degno sostituto dell’ideale perfetto. Attraverso la definizione di priorità, la capacità di delegare e la possibilità di procrastinare, questa flessibilità aiuta a creare tempo ove prima non esisteva.
Se non sento il bisogno costante di controllare tutto per raggiungere la perfezione allora riesco a ritrovare me stessa oltre i doveri imposti, e a ritrovare tempo per me e per il mio benessere.
I bisogni e le paure
Ho conosciuto molte donne che, per essere accondiscendenti, per accomodare i bisogni altrui ed evitare conflitti, non creano lo spazio di cui hanno bisogno per se stesse, trascurando i propri bisogni e arrivando a una situazione emotiva pesante, in cui la rabbia, la frustrazione e la tristezza sono vissute interiormente, nascoste e finendo per manifestarsi attraverso altri canali: il corpo parla, e spesso lo fa attraverso il malessere fisico e sintomi vari.
Questo atteggiamento si può ricollegare a dei bisogni umani essenziali e alle paure che si attivano per ciascuno di loro: bisogno di accettazione / paura di non essere accettata, bisogno di riconoscimento / paura di perdere riconoscimento e potere, bisogno di amore e di appartenenza / paura di esclusione o rottura di un rapporto.
Se non sei assertiva nell’esprimere ciò di cui hai bisogno, perché hai una paura fondata o infondata di perdere qualcosa di valore allora stai danneggiando il tuo spazio vitale, non ti stai proteggendo e prendendo cura di te come invece dovresti.
Oltre alla consapevolezza personale, imparare ad essere più assertiva e più sicura sono due competenze, o atteggiamenti, su cui lavorare per migliorare questa area della vita.
So di essermi allungata parecchio questa settimana, ma la verità è che scrivere su questo tema non è stato per niente semplice, particolarmente quando si analizzano aspetti così profondi della vita della donna. Ho cercato di semplificare al massimo, per dare un’idea chiara e facile di collegare alla tua esperienza. Spero davvero di esserci riuscita nel mio intento di chiarire alcune delle motivazioni principali che ostacolano la cura di sé.
Se vivi a Palermo ti ricordo che il 30 gennaio offro un laboratorio dedicato a questo tema in cui affronteremmo il tema da un punto di vista pratico, creando la tua mappa personale del benessere e lavorando su alcune competenze pratiche necessarie a creare e proteggere il tuo spazio di benessere individuale!